martedì 21 ottobre 2014

Da Müller a Gabbiadini. Laboratorio punizioni


CHE la situazione stesse precipitando, si cominciò a capire nell'afa del 30 giugno, quando un uomo dal nome, dall'aspetto e dall'indole assai tedesca si ritrovò senza motivo apparente con le ginocchia a terra e il muso quasi nell'erba. Faceva caldo a Porto Alegre, la sera in cui Thomas Müller mise in scena il più avanzato fra gli schemi pensati per un calcio di punizione. Özil borbotta qualcosa, Schweinsteiger parte e finge di calciare, passando invece sul pallone a gambe larghe. A questo punto la fantasia si fa carne, penetra nel corpo di Müller ma esagera, un passo e mezzo e durante la rincorsa quello va giù, s'affloscia, più simile a un figlio di Benny Hill che a un nipotino di Beckenbauer. Sconcerto al Mondiale: possibile mai che sia caduto? Avendo gli allenatori riempito i loro staff di tattici e strateghi armati di gps, trattandosi poi di uomo di Germania, il nostro senso di inferiorità ci spinse a pensare che no, ma dai, era tutto studiato. Uno stratagemma per distrarre gli algerini, di questo si tratta, per forza.


1985. La punizione di Maradona contro la Juventus
Eppure in principio tutto era più semplice, tutto retto da un senso quasi primitivo. Rincorsa e tiro, spesso una bomba cieca alla barriera, di qui la consuetudine di portare le mani in basso, a conchiglia, proprio lì. Calcio di punizione voleva dire una cosa sola. Parto, chiudo gli occhi e vediamo che succede. Così calciavano Antognoni e Di Bartolomei da noi, così Rainer Bonhof in Germania, gesto che ha poi avuto la sua evoluzione con Ronald Koeman e Roberto Carlos. L'artista era semmai Mariolino Corso, un'eccezione, il più mancino dei tiri, a foglia morta. Ma i tempi cambiano, e quando la foglia morta è diventata la maledetta, la fantasia ci ha preso la mano e non ce l'ha lasciata più.

Per credere, basta guardare oggi cos'è la Sampdoria. Non un laboratorio qualsiasi, considerato che in panchina ha il più grande specialista nella storia della serie A, Sinisa Mihajlovic, 28 gol da fermo, più di Baggio, di Del Piero, di Zola, di Maradona, più di tutti. Sei delle nove reti con cui la squadra si è arrampicata al terzo posto sono venute da fermo. L'ultima al Cagliari domenica. Mihajlovic le studia di notte. Ha il vizio di impastare i suoi schemi con princìpi di basket, altro grande frutto sportivo della sua terra. Funziona così. Alle spalle della barriera in quattro si piazzano in fuorigioco, finché dalla porta si allontanano in fretta, meglio ancora se scontrandosi casualmente lungo il tragitto con i difensori avversari. Lo chiamano blocco. Confusione, spintarelle e ops, Gabbiadini è libero in area, colpetto al pallone e gol. Detto così pare finanche facile. Sono nati teorici e specialisti. Stramaccioni disegna i suoi schemi su un quaderno segreto. Montella ha un nutrito gruppo di collaboratori che a questo si dedica, come s'è visto due giorni fa contro la Lazio: Pizarro scucchiaia sopra la barriera, Aquilani là dietro raccoglie e calcia in rovesciata: palo. Le punizioni sono diventate uno show nella partita, uno sfoggio di ingegno, figurarsi adesso che lo spray tiene ferme le barriere. Magari più in là nel tempo, prigionieri del manierismo, scopriremo che sofisticare fino all'eccesso non rende più e allora forse torneremo all'antico. Vado, la piazzo all'incrocio e buona notte. Ma nell'attesa, diciamolo, Müller era caduto.

(la Repubblica, 20 ottobre 2014)

aggiornamento: il gol di Milicevic in Lione-Gent del 24 novembre 2015



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